Quando si sciolsero i Soundgarden, Kim Thayil disse “ci sciogliamo perché se ne è andato Chris”: allora mi fece male, ma oggi, oggi fa piu’ male di sempre.
Se ne è andato Chris, e se ne è andato uno di famiglia.
Mi infastidirebbe molto infarcire il post celebrativo di Chris Cornell con tonnellate di retorica e nostalgia, prima di tutto perché la nostalgia a maggio ha poco senso, è il momento di vivere e non di ricordare, e perché la retorica va bene per chi al tempo del grunge si scelse l’immigrato (da Chicago) Eddie Vedder, Layne Staley il tossico, o il piu’ tossico di tutti, Cobain.
Io, invece, vent(…)anni fa scelsi i Soundgarden. Perché tutti si erano scelti i Nirvana, forse, o forse perché se sceglievi gli Alice in Chains dovevi sceglierti anche un certo tipo di atteggiamento e non sono un depresso cronico, e forse perché i Pearl Jam va bene, ma dopo cinque minuti anche basta, ma in realtà perché la voce di Chris Cornell spezzava in due le montagne della noia di paese, i lacci le ansie i divieti e le raccomandazioni del mondo adulto, le incomprensioni con gli amici e i professori, perché Cornell ti squarciava l’anima coi suoi acuti e con le chitarre iperprodotte, sí, ma dal suono tagliente e ruvido che ancora oggi suona vivo, come se fosse uscito nel tardo pomeriggio. E poi, Cornell era il piu’ bello di tutti. E quello con la voce migliore.
Se ne è andato Chris, e se ne è andato uno di famiglia.
In prima liceo il mio compagno di banco si distruggeva di metal, ma quell’edonismo esagerato e quei suoni di un barocco stucchevole mi solleticavano fino a un certo punto, come mi era impossibile appassionarmi alle dolci e pallosissime melodie dei Radiohead, e allora scrivevo col pennarello SOUNDGARDEN a caratteri cubitali sul banco. Ma chi erano ‘sti Soundgarden? Ottimo, li conoscevo solo io. Grosso segno di distinzione.
Se ne è andato Chris, e se ne è andato uno di famiglia.
Superunknown è un album perfetto. Passano gli anni, e ho fatto il calcolo che dai 14 ai 20/21 l’ho ascoltato almeno due volte al giorno, poi progressivamente meno, ma con costanza. A conti fatti l’ho ascoltato almeno dodicimila volte. Superunknown completo è presente in tutte le pagine dei miei diari di scuola. È presente nelle retrocopertine dei libri dell’università. È presente nei blog scritti quando ero in Portogallo. È presente in quei giochetti che si facevano ai primi tempi dei social network “quale l’unico album che ti porteresti su un’isola deserta?” Superunknown. È presente nelle directory delle cartelle “musica” dell’ufficio. Non c’è stata una di queste dodicimila volte in cui non abbia scoperto una sfumatura nuova di Superunknown. Ed ora, che mentre bevo le mie lacrime che sgorgano dal viso – e non dico in senso figurato – lo sto ascoltando, scopro un nuovo giro di basso in Mail Man.
Se ne è andato Chris, e se ne è andato uno di famiglia.
Perché Superunkown, BadMotorFinger, e insomma Chris mi hanno seguito tutta la vita. Per questo non voglio essere nostalgico, e raccontare di me stesso, di quando da ragazzini facevamo le cover di Blow Up the Outside World, perché voglio parlare di Chris, di Chris che c’era anche dopo, anche quando avevo una band un tantinello piu’ seria e un cantante capace di avvicinarlo su Feel On Black Days, Chris c’era, quando al pub con gli amici ti guardava sornione dallo schermo con i nuovi pezzi fatti da solista, c’era con gli Audioslave, visti dal vivo accanto alla supermodella che si era scelto per moglie (ennesima conferma che i Soundgarden sono stati la scelta giusta), e c’era stato fino a due mattine fa, quando mi sono svegliato per caso con in testa Rusty Cage e l’ho messa al cellulare. Ci sarebbe stato dopodomani, mentre passeggiando per strada avrei fischiettato Nothing To Say, ci sarebbe stato quando avrei spiegato ai miei figli che quel tanto idolatrato Cobain era solo un fan dei Soundgarden canzonato da Jesus Christ Pose, ci sarebbe stato piu’ avanti, quando da vecchi ci avresti chiesto di perdonarti, Chris, che ci avevi tradito facendo canzonette di merda all’improvviso, ma ti avremmo perdonato senza nemmeno dircelo, come ti abbiamo sempre perdonato, perché ci avresti spiegato che a un certo punto quella rivoluzione non si sarebbe potuta fare, e allora tanto valeva parlarci come ci parlavi quando eravamo adolescenti, che ci insegnavi ad amare la musica come un fratello piu’ grande, paternalisticamente ci parlavi di destini improbabili, di ricchi che sarebbero finiti umiliati dalla rivolta di chi aveva ricevuto solo ingiustizie dal mondo, e invece te ne sei andato Chris, te ne sei andato, cazzo, e ci hai lasciati qui, adesso, che è così difficile perdonarti.
Se ne è andato Cobain, e quelli di quattordici anni si strappavano i capelli come fosse l’Apocalisse, quel giorno di aprile. Se ne è andato Staley, e avevamo vent’anni, ed era aprile un’altra volta, e i suoi fan si sono fatti un’epocale bevuta, o una super dose di qualche stupefacente, poi la mattina dopo si sono svegliati col mal di testa e hanno guardato avanti.
Te ne sei andato tu, fratellone, e ci hai preso all’improvviso, siamo adulti, e non abbiamo droghe da prendere o alcool da bere, tu avevi il fisico perfetto, la pelle liscia e i capelli in ordine, e non possiamo piangere di fronte a tutti per un cantante lontano un milione di miglia, e non possiamo far altro che chiuderci nel bagno dell’ufficio e singhiozzare in silenzio, ed è un’altra volta primavera, e hai voglia a ripeterti che you can never ever leave without leaving a piece of youth (citazione arbitraria degli Smashing Pumpkins, con tanti versi che hai scritto, Chris, ma cronologicamente mi capirai), l’hai lasciata tutta cosí, spezzata di netto, senza spiegarci come fare, senza aspettare che fossimo così consumati da poter capire come, cosa, quando. Sei andato via, fratello, con tante cose ancora da dire, da fare, prima che la candela si dovesse spegnere. Cosí, ci e ti uccidevi, piano piano, e non lo sapevamo, e non lo sapevi; a poco a poco, ogni giorno, com’è la vita, Just Like Suicide.